“Due cose riempiono l’animo di ammirazione e
di riverenza sempre nuove e crescenti, quanto più spesso e più a lungo il
pensiero vi si ferma su: il cielo stellato sopra di me e la legge morale in me”
così Kant suggella la conclusione della Critica della ragion pratica. Altrove spiega: “La prima veduta di un insieme innumerevole di mondi annienta, per così
dire, la mia importanza di creatura animale, che dovrà restituire la materia
di cui è fatta al pianeta (un semplice punto nell'universo), dopo essere stata
dotata per breve tempo (non si sa come) di forza vitale. La seconda, al
contrario, innalza infinitamente il mio valore, come valore di una
intelligenza, in grazia della mia personalità, in cui la legge morale mi rivela
una vita indipendente dall'animalità, e persino dall'intero mondo sensibile”.
Ed ecco Pascal: “L'uomo non è che una canna, la più debole della natura, ma una canna
che pensa. Non è necessario che l'universo intero si armi per spezzarlo; un
vapore, una goccia d'acqua, è sufficiente per ucciderlo. Ma anche quando
l'universo lo spezzasse, l'uomo rimarrebbe ancora più nobile di ciò che
l'uccide, poiché sa di morire, mentre del vantaggio che l'universo ha su di
lui, l'universo non ne sa nulla. Ogni nostra dignità consiste dunque nel
pensiero. Su ciò dobbiamo far leva, non sullo spazio e
sulla durata, che non sapremmo colmare. Lavoriamo dunque per pensare bene: ecco il principio della morale”
.
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