lunedì 10 settembre 2012

Il senso assoluto del nulla

Quanto eravamo felicemente ignoranti prima della nascita della filosofia greca! Poi siamo stati informati che non è detto che dopo la morte possa esserci qualcosa, bello o brutto che sia. Udite!... Udite! dopo la morte potrebbe esserci l'annientamento dell'essere: il NULLA!
"Il senso assoluto del nulla e la morte come assoluto annientamento sono ignoti prima dei Greci. La morte non è pertanto vissuta come annientamento (e nemmeno è pensato il dio vero della verità greca). Prima dei Greci il senso della morte non è legato al nulla proprio perché prima dei Greci è assente il senso radicale dell'opposizione dell'essere e del nulla. Quando nel primo versetto del Genesi si vuole scorgere la creazione del mondo dal nulla, si opera una violenza su un testo a cui è ancora estranea quella comprensione ontologica delle cose che si fa innanzi solo con la filosofia greca (supponendo che, prima dei Greci, si possa parlare di una «filosofìa»). Il pensiero dell'opposizione infinita tra l'essere e il nulla viene alla luce, nel popolo greco, insieme al pensiero che ci si possa salvare dall'annientamento, in cui la morte consiste, solo con la vera salvezza  quella che appare e si produce con l'apparire della verità. Nella verità si mostra il vero Essere che è sempre salvo dal nulla e in cui l'uomo trova la salvezza di ciò che più gli sta a cuore." (Severino)

giovedì 30 agosto 2012

chi strappa un fiore disturba una stella...

Per Marco Aurelio il mondo, la vita e l’universo intero sono governati da una suprema legge di necessità, che è al tempo stesso provvidenza, nel senso che ogni cosa, ogni fatto e ogni singolo essere sono collegati fra loro come in una immensa ragnatela (o rete cosmica), i cui fili, simili a tante arterie, sono tutti interdipendenti, per cui si può dire che ciascuno occorra e concorra alla nascita e allo sviluppo di tutti gli altri, e che chi strappa un fiore disturba una stella.Tutto nasce e si svolge sulla base di un input iniziale, in cui sono presenti, in nuce, tutti i dati successivi che andranno ad arricchire via via quell’impulso, fornendo materia sempre nuova e portando ogni singolo fatto ed ogni singolo essere al loro compimento, necessario alla nascita e allo sviluppo di altri. È la legge dell’ordine, dell’equilibrio e dell’armonia.Gli uomini, come ingranaggi di un meccanismo, sono collegati tutti fra loro, dal più piccolo al più grande, dal più nobile al più spregevole, dal più povero al più ricco, in una serie innumerevole di rapporti e di interdipendenze delle più diverse nature, e quali lavorano a denti stretti o addirittura in folle, quali invece sono sempre in presa o coi denti avvitati senza fine, ma bene o male, volenti o non volenti, coscienti o non coscienti, sono tutti vi cendevolmente e inesorabilmente incastrati l’uno nell’altro. Di conseguenza quello che fa uno è come se lo facessero tutti si multaneamente, in una molteplicità e diversità di tempi e di luoghi. E poiché ciascuno partecipa della vita di tutti, tutti sono artefici e responsabili delle azioni di ogni singolo (co me ogni singolo lo è delle azioni di tutti).È da questa visione “scientifica” che nasce il sentimento di comunanza e di fratellanza universale, e da quello derivano, conseguentemente, la legge morale e religiosa.

martedì 29 maggio 2012

Il non essere, questo è l'Inferno

Se veramente l'inferno esiste, preferisco quello con il fuoco e i diavoli che ti tormentano rispetto all'essere eternamente soli con se stessi e il proprio non essere di Hegel: "Noi troviamo definita la dannazione dell'Inferno come l'essere eternamente legati all'azione soggettiva, l'esser soli con il proprio appartenere a se stessi... proprio questo tormento dell'eterna contemplazione di se stessi e non in una azione soltanto, bensì nell'ancora più grande noia e spossatezza del vuoto essere"
G.W.F. HEGEL Fede e Sapere

martedì 15 maggio 2012

L'ipocrisia...

Enrico De Pedis, boss della Magliana sepolto nella cripta nella Basilica di Santa Apollinare.
Piergiorgio Welby, Il Vicariato di Roma non ha concesso la funzione secondo il rito religioso come nei desideri della moglie cattolica.
Chi toglie la vita è meno peccattore di chi se la toglie ricordando che:
« Vita è la donna che ti ama, il vento tra i capelli, il sole sul viso, la passeggiata notturna con un amico. Vita è anche la donna che ti lascia, una giornata di pioggia, l’amico che ti delude. [...] Purtroppo ciò che mi è rimasto non è più vita, è solo un testardo e insensato accanimento nel mantenere attive delle funzioni biologiche. »
(Piergiorgio Welby)
Personalmente non so cosa sia il peccato nè conosco peccatori, vedo solo esseri che hanno una diversa concezione del mondo... Conosco, invece, l'ipocrisia!




martedì 8 maggio 2012

I ciechi e l'elefante - Parabola buddista


Successe in India. Tanto tempo fa. Una volta nel parco di Anatapindika, nella città di Jetavana presso Savatthi, religiosi, dotti e scienziati litigavano furiosamente, si accapigliavano, si offendevano. Ognuno pensava di dire ciò che era giusto e ciò che era sbagliato e ognuno aveva l’idea che era giusto ciò che diceva lui e sbagliato quello che diceva un altro. Ognuno era così convinto di essere dalla parte della ragione che neanche ascoltava quello che l’altro aveva da dire e appena si accorgeva che voleva dire qualcosa di diverso lo offendeva dicendo: «È giusto come la penso io, la tua idea è sbagliata». E l’altro lo stesso: «Ma che dici? La mia è l’idea giusta, è la tua che è sbagliata». E litigavano ancora. Per lo più litigavano per un fatto: che uno diceva che l’universo è grande grande grande, così grande che praticamente non ha né una fine e né un inizio. Praticamente: l’universo è infinito. Ma l’altro non era d’accordo perché diceva che invece il mondo è finito e faceva un disegno del villaggio in cui vivevano per dimostrarlo. Ma non litigavano solo per questo. C’era chi diceva che gli animali hanno un’anima e chi diceva di no. Uno che il tempo non ha né un inizio e né una fine – come quell’altro aveva detto dell’universo – e l’altro santone si stropicciava la barba e iniziava a contare «uno due tre… mille… vedi che si può contare il tempo? Quindi se si può contare con i numeri a un certo punto finirà!» Nonostante fossero tutte persone molto colte e istruite ognuno però usava la sua sapienza per offendere con le parole l’altro. Uno diceva: «Sei uno stupido. La terra gira, altro che ferma». E l’altro: «Se gira allora tutto dovrebbe cambiare sempre». Poi si davano dello sciocco perché per uno la terra era rotonda e per un altro piatta. Insomma in questa città, che si chiamava Savatthi, regnava una grande confusione. Ma per fortuna tra tutti i saggi ce n’era uno di gran lunga più saggio. Tanto saggio da non cadere nei facili tranelli delle discussioni, da vivere in disparte e con modestia ma sempre disposto ad accettare l’idea espressa da un’altra persona. Questa sua serenità lo rendeva ancora più saggio ed era da tutti riconosciuto come un saggio dei saggi. Anzi diciamo pure il saggio per eccellenza. Ma il nostro dotto amico, saputo di quello strano conflitto, si era molto contrariato perché pensava che era buffo che persone così intelligenti e profonde non riuscissero a trovare un accordo sulla loro ricerca di verità e che fossero convinte che la loro verità fosse così giusta da offendere quella dell’altro. Avrebbe potuto intervenire anche lui cercando di capire cosa diceva uno e cosa l’altro, ma rendendosi conto che non sarebbe servito a nulla entrare nella discussione decise di raccontare una storia che li aiutasse a capire. La storia che gli raccontò era quella di un gruppo di ciechi e di un elefante. E la storia diceva così. Cari monaci, un re in un tempo molto antico, in questa stessa città mandò a chiamare tutti coloro che erano nati ciechi. Dopo che questi si furono raccolti in una piazza mandò a chiamare il proprietario di un elefante a cui fece portare in piazza l’animale. Poi chiamando a uno a uno i ciechi diceva loro: questo è un elefante, secondo te a cosa somiglia? E uno diceva una caldaia, un altro un mantice a seconda della parte dell’animale che gli era stata fatta toccare. Un altro toccava la proboscide e diceva il ramo di un albero. Per uno le zanne erano un aratro. Per un altro il ventre era un granaio. Chi aveva toccato le zampe le aveva scambiate per le colonne di un tempio, chi aveva toccato la coda aveva detto la fune di una barca, chi aveva messo la mano sull’orecchio aveva detto un tappeto. Quando ognuno incontrò l’altro dicendo quello a cui secondo lui somigliava l’animale discutevano animatamente perché ognuno era convinto assolutamente di quello che aveva toccato. Perciò se gli chiedevano a cosa somigliasse un elefante diceva l’oggetto che gli era sembrato di toccare. Naturalmente se uno diceva un mantice e l’altro una caldaia volavano gli insulti perché nessuno metteva in dubbio quello che aveva sentito toccando la parte del corpo dell’elefante. Il re vedendoli così convinti della loro sicurezza e litigiosi si divertiva un mondo. Ma alla fine decise di aiutarli a capire, e a due a due li invitava a toccare quello che aveva toccato l’altro e a chiedergli a cosa somigliasse. Così tutti dicevano quello che sosteneva l’altro e si invertivano i ruoli. Come se fosse stato un gioco li invitò a parlare tra di loro e alla fine tutti si formarono l’idea di come in realtà l’elefante fosse. Tutti furono d’accordo che era un mantice con un ramo di un albero nel mezzo e a lato un aratro con due tappeti sopra un granaio sostenuto da colonne e tirato da una fune di barca. Dopo che il saggio Maestro ebbe finito di raccontare questa storia disse: «Miei saggi discepoli voi fate la stessa cosa. Non sapete ciò che è giusto e ciò che è sbagliato né ciò che è bene e ciò che è male e per questo litigate, vi accapigliate e vi insultate. Se ognuno di voi parlasse e ascoltasse l’altro contemporaneamente la verità vi apparirebbe come una anche se ha molte forme».

Questa parabola è tratta degli Udana.

Commento: anche il confronto tra le verità (i cechi che parlano tra loro su cosa hanno sentito) non risolve il problema di come sia fatto l'elefante, i cechi danno una descrizione totalmente altra di come è fatto l'elefante. Ci vuole dunque un livello superiore di conoscenza, che non appartiene ai sensi. La realtà come ci appare è distorta dai sensi.

giovedì 3 maggio 2012

Un mondo di dotti e non sapienti...

Ecco cosa insegnava Simone Weil alle sue allieve... "La conoscenza senza l'idea del bene è argomento di vanità e di curiosità" (Lezioni di Filosofia Adelphi pag 261). 
Fermandomi a riflettere sull'affermazione della Weil capisco perchè il mondo è pieno di dotti e non di sapienti...

«Qual è la tua arte? Essere buono».

«Qual è la tua arte? Essere buono».
Lo scriveva a se stesso Marco Aurelio. Vedere il bene come arte!!! Il bene come creazione dell'uomo, come la musica, la pittura, la poesia ecc... la creazione più alta a cui l'uomo possa giungere.

lunedì 23 aprile 2012

‎"L'uomo è epilogo di tutto il Mondo...

‎"L'uomo è epilogo di tutto il Mondo, ammiratore di questo, se vuol conoscere Dio, chè però è fatto."
Tradotto: L'uomo, epilogo di tutto il mondo, è fatto però per conoscere Dio.

Campanella (del senso delle cose e della magia)

venerdì 20 aprile 2012

l'autentica filosofia

Cosa c'è prima?
L'autentica filosofia prima è la sapienza su come indirizzare l'energia vitale che c'è dentro ogni uomo, l'energia vitale che ogni uomo è. La domanda originaria, da cui tutto dipende, è una sola: che fare di me, della mia voglia di vivere, del tempo che mi è dato, che cosa voglio, e chi sono? Non c'è prima, come vuole l'impostazione classica, la risposta al «chi sono» per comprendere poi «che cosa devo volere»; al contrario, è il mio volere che determina la , mia identità. Io sono ciò che voglio sono libertà. Questa unica domanda fondamentale sulla direzione del volere è la questione esistenziale per eccellenza, è il punto di partenza vero di ogni filosofia vera, filosofia non come erudizione o piacere disinteressato della conoscenza, ma come saggezza pratica. Il termine stesso filosofia esclude il disinteresse, perché verso la sophia non c'è neutralità, c'è philia; il vero filosofo è colui che ama la sapienza e a questo amore sacrifica tutto.



giovedì 29 marzo 2012

Blade Runner


Blade Runner




« Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhauser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo come lacrime nella pioggia. È tempo di morire. »



venerdì 23 marzo 2012

Non “abbiamo” tempo: noi “siamo” tempo


Antifonte sofista, fr. B 53-52 Ci sono persone che non vivono la vita presente: è come se si preparassero, consacrandovi tutto il loro ardore, a vivere non si sa quale altra vita, ma non questa, e mentre agiscono così, il tempo se ne va ed è perduto. È impossibile rimettere in gioco la vita come si fa con un dado che si torna a lanciare.

COMMENTO
Nel tempo presente, qui ed ora, è racchiuso il segreto dell’eternità. Non “abbiamo” tempo: noi “siamo” tempo. Rimandare a domani, vivere nella prospettiva – illusoria – dell’aver tempo ci allontana da noi stessi e ci priva della nostra unica ricchezza: l’esser tempo. Obliare questa stato originario, questa naturale auto-evidenza ci conduce ad una vita dissociata, ad un continuo inseguire ciò che non esiste. Dalla realtà del tempo precipitiamo nell’illusione del tempo: un affannoso spingersi continuamente innanzi. Perfetto è ciò che è fine a se stesso, eternamente presente. Il principio del divino.


mercoledì 14 marzo 2012

CONDIZIONE UMANA

In una conversazione con lo storico Luden, Goethe dice: “E anche se voi foste in grado di interpretare la storia e di esaminarne tutte le fonti,che cosa trovereste? Niente altro che una grande verità, che è stata scoperta da gran tempo e di cui non occorre più cercare la conferma:la verità cioè che in ogni tempo e in ogni luogo la condizione umana è stata miserabile.Gli uomini sono sempre stati preoccupati e angosciati, si sono tormentati e torturati reciprocamente, hanno reso difficile a sè e agli altri quel po’ di vita loro concesso e non sono stati capaci di apprezzare la bellezza del mondo e la dolcezza dell’esistenza, loro offerta da questa bellezza.Soltanto per pochi la vita è stata comoda e piacevole. I più, dopo aver sperimentato il gioco della vita per un certo tempo, hanno preferito andarsene piuttosto che cominciare di nuovo. Ciò che offriva ed offre loro ancora un attaccamento alla vita, era ed è la paura della morte.Così è, così è stato, così anche rimarrà. Questo è dopotutto il destino degli uomini. Di quale testimonianza v’è ancora bisogno?”

martedì 10 gennaio 2012


Dal film Nirvana di Salvatores: il monologo di Solo “Sai cosa mi succede quando muoio? Sto lì e aspetto che ricominci d’accapo, e la cosa più brutta è l’ansia che mi viene. So che deve ricominciare, però non né ho voglia. Stò lì sospeso tra la vita e la morte  … secondo me i morti del vostro mondo succede qualcosa di simile. Gli piace rimanere li un po’ per vedere i vivi che li piangono diventano pigri rimangono come imbrigliati, gli passa la forza di ricominciare, non ce l’hanno. Poi… invece… mano, mano che i vivi si dimenticano di loro, perlomeno smettono di piangere, insomma… poi il tempo… Allora a quel punto lì, non ha più senso rimanere. Si rompono proprio i coglioni. Ritorna quella forza di ricominciare e partono per cercarsi un’altra vita”



martedì 3 gennaio 2012

Lodi...lodi...lodi...

«Che un tale dio, dunque, venga considerato patrono particola­re oppure sovrano generale del cielo, i suoi adoratori cercheranno con ogni mezzo di ingraziarselo; e supponendo che gradisca, come loro, la lode e l'adulazione, non risparmieranno alcun elogio o esagerazione nelle preghiere a lui rivolte. Quanto più saranno in preda al timore e all'angoscia, tanto più gli uomini inventeranno nuove forme di adulazione; e anche chi, nel gonfiare i titoli della sua divinità, supera quelli che lo hanno preceduto può essere certo che sarà a sua volta superato da altri con nuovi e più pomposi epiteti di lode. Procedono così fino all'infinito, oltre il quale non si può procedere». «Sebbene il volgo, in origine, si raffiguri la divinità come un essere limitato e la consideri soltanto la causa particolare della salute o della malattia, dell'abbondanza o del bisogno, della prosperità o dell'avversità, appare tuttavia certo che, quando ha a che fare con idee più raffinate, stima pericoloso rifiutare il proprio assenso. Direte che la vostra divinità è finita e limitata nelle sue perfezioni, che può essere sopraffatta da una forza più grande, che è soggetta alle passioni, alle sofferenze e alle infermità umane, che essa ha avuto inizio e potrà, avere una fine? Questo non oseranno affermarlo; anzi, pensando che sia più sicuro consentire a più alti elogi, si sforzeranno di ingraziarsi la divinità mediante la simulazione di estasi e rapimenti. A conferma di ciò possiamo osservare che l'assenso del volgo, in questo caso, è puramente verbale; e che esso è incapace di concepire le sublimi qualità che, apparentemente, attribuisce alla divinità. La reale idea che se ne forma è, nonostante il linguaggio pomposo, povera e frivo­la come sempre.»

(Essays and Treaties on several subjects, Londra 1777 vol. II p. 429)