martedì 25 ottobre 2011

La scrittura e il mito di Theuth

Un grande maestro come Socrate, attraverso il mito di Theuth, ci fa riflettere come la scrittura possa darci la conoscenza senza sapienza, generando cosi dei dotti, ma non dei sapienti... oggi diremo che oltre al produttore è importante il consumatore, il libro è importante ma più importante è chi legge... Socrate dice "al libro non puoi far domande", ma io aggiungo "il libro ti aiuta a formularle meglio e a farne sorgere di nuove"


In questi giorni, inoltre, mi è capitato di leggere un interessante articolo di Vito Mancuso sul metodo del Cardinal Martini e che in qualche modo si lega al discorso Socratico.

"Alla fine ciò che determina il valore di un essere umano è il metodo, più che i contenuti della mente o le azioni compiute dalle mani. A dire chi siamo e a conferire la nota dominante alla nostra personalità è il metodo con cui guardiamo e affrontiamo la vita. Il metodo di Martini si chiama “lectio divina”. In verità nel mondo reale noi possiamo leggere solo ciò che vediamo, quindi solo ciò che per definizione non è divino, come i testi scritti dagli uomini o i fenomeni naturali. Se si giunge a parlare di lectio “divina” non è quindi per l’oggetto materiale che viene letto, il quale è e rimarrà sempre del tutto umano nella misura in cui può essere colto dall’occhio, letto e compreso. Se si parla di lettura “divina” è piuttosto per l’intenzionalità che guida chi legge, un’intenzionalità che proviene dalla profondità dell’uomo interiore dove, diceva Agostino, “habitat veritas”."

l'intero articolo: 
http://www.vitomancuso.it/2011/10/26/le-letture-divine-del-cardinal-martini/


Platone, Fedro, 274 c-276

1      [274 c] [...] Socrate – Ho sentito narrare che a Naucrati d’Egitto dimorava uno dei vecchi dèi del paese, il dio a cui è sacro l’uccello chiamato ibis, e di nome detto Theuth. Egli fu l’inventore dei numeri, [d] del calcolo, della geometria e dell’astronomia, per non parlare del gioco del tavoliere e dei dadi e finalmente delle lettere dell’alfabeto. Re dell’intiero paese era a quel tempo Thamus, che abitava nella grande città dell’Alto Egitto che i Greci chiamano Tebe egiziana e il cui dio è Ammone. Theuth venne presso il re, gli rivelò le sue arti dicendo che esse dovevano esser diffuse presso tutti gli Egiziani. Il re di ciascuna gli chiedeva quale utilità comportasse, e poiché Theuth spiegava, egli disapprovava ciò che gli sembrava [e] negativo, lodava ciò che gli pareva dicesse bene. Su ciascuna arte, dice la storia, Thamus aveva molti argomenti da dire a Theuth sia contro che a favore, ma sarebbe troppo lungo esporli. Quando giunsero all’alfabeto: “Questa scienza, o re – disse Theuth – renderà gli Egiziani piú sapienti e arricchirà la loro memoria perché questa scoperta è una medicina per la sapienza e la memoria”. E il re rispose: “O ingegnosissimo Theuth, una cosa è la potenza creatrice di arti nuove, altra cosa è giudicare qual grado di danno e di utilità esse posseggano per coloro che le useranno. E cosí ora tu, per benevolenza verso l’alfabeto di cui sei [275 a] inventore, hai esposto il contrario del suo vero effetto. Perché esso ingenererà oblio nelle anime di chi lo imparerà: essi cesseranno di esercitarsi la memoria perché fidandosi dello scritto richiameranno le cose alla mente non piú dall’interno di se stessi, ma dal di fuori, attraverso segni estranei: ciò che tu hai trovato non è una ricetta per la memoria ma per richiamare alla mente. Né tu offri vera sapienza ai tuoi scolari, ma ne dai solo l’apparenza perché essi, grazie a te, potendo avere notizie di molte cose senza insegnamento, si crederanno d’essere dottissimi, mentre per la maggior parte non sapranno nulla; con loro sarà [b] una sofferenza discorrere, imbottiti di opinioni invece che sapienti”. Fedro – O Socrate, ti è facile inventare racconti egiziani e di qualunque altro paese ti piaccia! Socrate – Oh! ma i preti del tempio di Zeus a Dodona, mio caro, dicevano che le prime rivelazioni profetiche erano uscite da una quercia. Alla gente di quei giorni, che non era sapiente come voi giovani, bastava nella loro ingenuità udire ciò che diceva “la quercia e la pietra”, purché [c] dicesse il vero. Per te, invece, fa differenza chi è che parla e da qual paese viene: tu non ti accontenti di esaminare semplicemente se ciò che dice è vero o falso. Fedro – Fai bene a darmi addosso anch’io son del parere che riguardo l’alfabeto le cose stiano come dice il Tebano.
2      Socrate – Dunque chi crede di poter tramandare un’arte affidandola all’alfabeto e chi a sua volta l’accoglie supponendo che dallo scritto si possa trarre qualcosa di preciso e di permanente, deve esser pieno d’una grande ingenuità, e deve ignorare assolutamente la profezia di Ammone se s’immagina che le parole scritte siano qualcosa di piú [d] del rinfrescare la memoria a chi sa le cose di cui tratta lo scritto. Fedro – È giustissimo. Socrate – Perché vedi, o Fedro, la scrittura è in una strana condizione, simile veramente a quella della pittura. I prodotti cioè della pittura ci stanno davanti come se vivessero; ma se li interroghi, tengono un maestoso silenzio. Nello stesso modo si comportano le parole scritte: crederesti che potessero parlare quasi che avessero in mente qualcosa; ma se tu, volendo imparare, chiedi loro qualcosa di ciò che dicono esse ti manifestano una cosa sola e sempre la stessa. E una volta che sia messo in iscritto, ogni discorso arriva alle mani di tutti, tanto di chi l’intende tanto di chi non ci ha nulla [e] a che fare; né sa a chi gli convenga parlare e a chi no. Prevaricato ed offeso oltre ragione esso ha sempre bisogno che il padre gli venga in aiuto, perché esso da solo non può difendersi né aiutarsi. Fedro – Ancora hai [276 a] perfettamente ragione. Socrate – E che? Vogliamo noi considerare un’altra specie di discorso, fratello di questo scritto, ma legittimo, e vedere in che modo nasce e di quanto è migliore e piú efficace dell’altro? Fedro – Che discorso intendi e qual è la sua origine? Socrate – Il discorso che è scritto con la scienza nell’anima di chi impara: questo può difendere se stesso, e sa a chi gli convenga parlare e a chi tacere. [...]
... non c'è alcuno stato che non abbia la guerra alla base della sua esistenza, e gli uomini d'armi come suoi eroi. L'immagine del mattatoio usata da Hegel per la storia universale si adatta alla perfezione. Ve la riporto per uno spunto di riflessione:
"Ma pure quando consideriamo la storia come un simile mattatoio, in cui sono state condotte al sacrificio la fortuna dei popoli, la sapienza degli stati e la virtù degli individui, il pensiero giunge di necessità anche a chiedersi in vantaggio di chi, e di quale finalità ultima, siano stati compiuti così enormi sacrifici."

lunedì 17 ottobre 2011

Emarginati...

Secondo Hebert Marcuse, la società repressiva, dietro un apparente e quindi illusoria libertà, amministra globalmente la vita dell’uomo, controllando le sue aspirazioni e i suoi desideri e sotto una falsa libertà di pensiero e di espressione, respinge in realtà la nascita e lo sviluppo di qualsiasi critica e opposizione. In una tale situazione bisogna fare appello alle forze individuali estranee al sistema, costituite dagli emarginati che Marcuse definisce “il sostrato dei reietti e degli stranieri, degli sfruttati e dei perseguitati di altre razze e di altri colori, dei disoccupati e degli inabili”. 

mercoledì 12 ottobre 2011

Martin Heidegger (1889 – 1976) sulla morte... anzi no... sulla vita


Heidegger
Per Heidegger  “la morte da significato alla vita come serie infinita di possibilità e in qualche modo spinge l’uomo a non vivere del tutto passivamente come un oggetto, ma a esserci secondo il modello della temporalità. L’esistenza umana è un istante la cui unica certezza è quella del vivere per la morte.”
Se la nostra vita fosse eterna, rimanderemmo al domani ciò che potremmo fare oggi e vivremmo in un eterno giorno dopo… La morte, dunque, esiste perché la vita sia apprezzata e vissuta. Molti cercano di vivere a lungo mentre dovrebbero cercare di vivere intensamente.  



Piccola nota: Martin Heidegger è considerato un gigante della filosofia, anche se il suo appoggio al nazismo mi lascia perplesso. Comunque, le "buone pensate" vengono da ogni dove e chi nazista non è, è sempre pronto a coglierle.

martedì 11 ottobre 2011

sapere di non sapere


Il “sapere di non sapere” di Socrate è verità logicamente dimostrabile e semplice come tutto ciò che è vero, eppure ha meno seguaci e conoscitori di quelle verità “rivelate” non dimostrabili e che devono essere accettate per fede.
Riporto da Giovanni Reale "Socrate alla scoperta della sapienza umana" pag 68.
«Questo "sapere di non sapere" è delfico nell'essenza. Come del resto l'uomo in generale, qui Dio delinea anche il sapere dell'uomo sulla base dell'insufficienza e limitatezza dell'uomo stesso. Tuttavia, appunto come un sapere che sa di essere un non sapere, il sapere umano può essere ancora nella verità e avere un suo essere. La presunzione di sapere, che come ogni altra presunzione è odiata da Dio, non ha alcuna intima verità, ed è a un tempo oscurità e apparenza (dóxa). E Socrate, nel suo discorso (Apologia, 20 D), esprime l'opinione di avere egli pure una "certa" sapienza. Egli la esercita come un "servizio di Dio". Si tratta di una sapienza che non vuole raggiungere le cose che stanno in cielo e sottoterra, bensì di una sapienza «a misura di uomo». E tale sapienza «a misura di uomo» è la filosofia, la quale, in un senso squisitamente delfico, «non è un possesso di sapienza", bensì "una ricerca di sapienza", appunto philo-sopbia, e per quanto degna di essere conosciuta dall'uomo, non potrà avere mai fine, e dovrà riconoscere di essere un "sapere di non sapere"».

ritirarsi dalla gente...

Oggi ho letto questo post su fb di "chiesa cattolica"

"I più grandi santi evitavano, per quanto possibile, di stare con la gente e preferivano stare appartati, al servizio di Dio. E' stato detto: ogni volta che andai tra gli uomini ne ritornai meno uomo di prima (Seneca, Epist. VII, 3)... Perciò colui che vuole giungere alla spiritualità interiore, deve, insieme con Gesù, ritirarsi dalla gente. Soltanto chi ama il nascondimento sta in mezzo alla gente senza errare; soltanto chi ama il silenzio parla senza vaneggiare; soltanto chi ama la sottomissione eccelle senza sbagliare; soltanto chi ama obbedire comanda senza sgarrare; soltanto colui che è certo della sua buona coscienza possiede gioia perfetta. (L'Imitazione di Cristo)"

ho risposto quanto segue:

"Se Gesù si fosse “ritirato dalla gente” probabilmente non avremmo avuto gli insegnamenti dei Vangeli così come sono, cioè rivolti alla gente; se madre Teresa si fosse “ritirata dalla gente” forse non avrebbe dedicato la vita agli ammalati, se San Francesco si fosse “ritirato dalla gente” non avremmo avuto la sua gioia e potrei andare avanti per ore… L’umanità, tutto sommato, non è tanto male perché evitarla? Certo un momento di “deserto” cioè di riflessione, pace , silenzio e ascolto dell’Eterno è “cosa buona e giusta” ma siamo fatti “per amare il prossimo” non per evitarlo… In merito a Seneca, con il rispetto dovuto non lo metterei tra i massimi filosofi antichi, un suo discepolo (Nerone) bruciò Roma e se la prese con i cristiani, e maestro di Seneca fu certo Papirio Fabiano della scuola dei cinici che professavano l’autosufficienza, come se l’uomo non fosse un “animale sociale”

lunedì 10 ottobre 2011

HENRI BERGSON (1859-1941)


La società chiusa che di fatto corrisponde al tipo di società che si è realizzato nella storia, in cui l’ordine sociale è modellato su quello fisico. In essa l’individuo è solo una parte di un tutto e non c’è spazio per la libertà e l’iniziativa del singolo. Società chiusa in quanto è priva di slanci e mira a salvaguardare gli egoismi del singolo o di un gruppo. Ad essa corrisponde la morale dell’obbligazione, fondata su abitudini sociali che diventano obblighi e danno origine a comportamenti conformisti statici e ripetitivi. A questa morale è legata la religione statica basata su riti e credenze che nel tentativo di offrire consolazione e protezione agli uomini rispetto alla paura della morte, in realtà rafforzano gli obblighi morali e le convenzioni sociali.
La società aperta ancora da costruire fondata sullo slancio creativo espressione di istanze spirituali e di libertà, con ordinamenti sociali disposti a subire trasformazioni radicali. A questa società aperta corrisponde la morale assoluta basata sullo slancio d’amore che spinge l’umanità a progredire, pertanto è dinamica e promuove l’iniziativa individuale e le novità. Alla morale assoluta si collega una religione dinamica fondata sul rapporto diretto con Dio e con il processo creatore, la religione dinamica rifiuta i dogmi e si apre al rapporto personale con la divinità. Gli eroi e i santi sono le figure più significative di questa società, espressione della libertà e della creatività dello spirito e sono esempio della superiorità della vita spirituale.

venerdì 7 ottobre 2011

Giordano Bruno

“l’universo è adunque un animale infinito, nel quale tutto vive e s’agita nelle più svariate guise.”

Rousseau, Dialogues... sull'amor proprio

Rousseau, amor di sé e amor proprio Rousseau distingue tra due forme di amor proprio: l’amor proprio in senso lato, che chiama anche amore di sé (“amour de soi”), è un sentimento assoluto, naturale e buono per definizione perchè assicura l’autoconservazione dell’individuo ed esprime il suo diritto alla vita; l’amor proprio relativo (“amour propre”) è invece sempre negativo, in quanto, nascendo dal confronto con gli altri, si configura come sentimento sociale ed è quindi subordinato all’opinione.
La sensibilità positiva deriva immediatamente dall’amore di sé. È naturale che colui che si ama cerchi di estendere il suo essere e i suoi godimenti e di appropriarsi, coi legami affettivi, di ciò che egli sente possa essere per lui un bene. … Ma non appena questo amore assoluto degenera in amor proprio, e in rivalità comparativa, ecco che produce la sensibilità negativa; appena, infatti, si prende l’abitudine di misurarsi con altri ed uscire da se stessi per assegnarsi il primo e il miglior posto, è impossibile non provare avversione per tutto ciò che … ci impedisce di essere tutto.

(J.-J. Rousseau, Dialogues, II, O.C., I, pp. 806-807 ; trad. it. S.A., pp. 898-899)

Vito Mancuso: giusti...

‎...Per questo quando si è giusti, cioè in relazione ordinata con gli altri, si è anche più felici: perchè si compie la logica che ci costituisce. Per questo il bene produce benessere e dà quella lieta disposizione dell'anime verso sè e verso gli altri che rende più leggera e più luminosa la vita: perchè il bene risponde alla logica primordiale della relazione ordinaria che ci ha portato e ci mantiene all'essere, e nella quale propriamente consistiamo.

giovedì 6 ottobre 2011

grazia di Dio raggiunge tutti gli uomini

Una forte e autorevole conferma al fatto che la grazia di Dio raggiunge tutti gli uomini e tutti i popoli sono le celebri parole di Pietro davanti al centurione Cornelio e ai suoi parenti e amici: "In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto. Questa è la parola che egli ha inviato ai figli d’Israele, recando la buona novella della pace, per mezzo di Gesù Cristo, che è il Signore di tutti" (At 10, 34-36). Pietro afferma qui che Dio non ha preferenze di persone, di gruppi, di popoli, ma accetta e salva chiunque, a qualunque cultura e popolo appartenga, purchè abbia timor di Dio e sia giusto. "Questa è la parola che egli ha inviato […], per mezzo di Gesù Cristo" (v. 36) significa che è questo l’annuncio centrale di Cristo e del Vangelo: la grazia di Dio non è per un gruppo o per un popolo, ma per chi crede e opera la giustizia, a qualunque popolo e cultura appartenga; e quindi a qualunque religione appartenga. Accanto alla grazia ecclesiale, donata nella Chiesa, cioè, vi è una grazia "non ecclesiale", donata fuori dalla Chiesa. Dio agisce, allora, in tutte le religioni e attraverso tutte le religioni.

mercoledì 5 ottobre 2011

O. Jensen Condannati allo sviluppo. Le religioni di fronte al problema ecologico

"il fatto che il creato non sia nulla, ma sia qualcosa e qualcosa di buono, può significare senz'altro che esso ha 'un fine in se stesso', che, in una certa misura, è il proprio fine senza per questo essere divino. Se identifichiamo il 'fine in se stesso' con il 'sacro', ci si potrebbe forse spingere sino ad affermare che il creato è sacro, senza per questo essere divino"
p.147

tornare alle origini...

... non domandiamoci, dunque, cosa devo fare per essere giusto, come osservo determinanti comandamenti (che vengono imposti più dall'esterno che dall'interno). I cristianesimo è piuttosto, essenzialmente, accoglienza grata e riproposizione creativa di testimonianza d'amore che sono, in misura differente, testimonianza dell'amore. Cristiano è uno che ha fatto, direttamente o indirettamente, l'esperienza storica, personale, concreta dell'amore di Gesù e di tutti quelli che come lui si sono posti in atteggiamento di dono e perdono nei confronti dell'umanità e di ogni uomo incontrato in particolare: in forza di questa esperienza egli ha maturato un nuovo modo di vedere il mondo e, soprattutto, un nuovo modo di essere al mondo. Oggi, dunque, c'è bisogno di ritornare alle origini di ritrovarsi in quei cristiani tra pagani che non imponevano ma proponevano un modo diverso di essere al mondo.

martedì 4 ottobre 2011

Gandhi...

"Fino a quando ci sono religioni diverse, ciascuna di esse può avere bisogno di un simbolo distintivo. Ma quando il simbolo si trasforma in un idolo e in uno strumento per mostrare la superiorità della propria religione sulle altre, è buono soltanto per essere gettato via."

Sant'Agostino la chiesa "ab Abel"

Sant'Agostino parlava di una Chiesa esistente "ab Abel", da Abele, cioè dal primo giusto comparso sulla terra. La Chiesa non è stata fondata da Gesù duemila anni fa. Neppure il cristianesimo è stato fondato 2000 anni fa. Duemila anni fa sono stati fondati il cristianesimo storico e la Chiesa storica, i quali rimandano a una realtà molto più antica, che esiste da quando esiste l'umanità. Quando un essere umano aspira a conformare la sua vita all'idea del bene e della giustizia, allora entra automaticamente a far parte della comunità di coloro che cercano a loro volta il bene e la giustizia.